Forse, abbiamo fatto un piccolo passo verso la soluzione di questa epidemia.
E questo passo il mondo lo potrà fare grazie anche ad un pugliese, di 53 anni, che da 25 anni studia e lavora negli stati uniti, il Dott. Andrea Gambotto.
Ovviamente la conoscenza e la scienza non hanno barriere, confini, nazionalità.
Essa viene espressa dal talento dei singoli, talento che però deve essere coltivato, nutrito, sostenuto e incubato in un ambiente, quello degli atenei, quanto più stimolante e completo per la diffusione del sapere.
Perché il percorso di studi per arrivare alle eccellenze del calibro del Dott. Gambotto costa anni di studi, migliaia di euro in formazione, e solo una università sana, moderna e lungimirante, può produrre i nuovi fuoriclasse della scienza e della medicina.
L’Italia si conferma fanalino di coda, su scala europea, per investimenti in formazione: il 4% del Pil, sotto di quasi un punto percentuale rispetto alla media della Ue (4,9%) e poco più della metà di quanto investito da Danimarca (7%), Svezia (6,5%) e Belgio (6,4%). Una media che supera di poco la spesa totale dei privati, pari al 3% del Pil secondo le ultime rilevazioni Ocse.
Questo si traduce nell’essere sempre all’inseguimento.
Vuol dire rimanere spettatori dell’innovazione, e mai attori protagonisti. Dobbiamo, come altri paesi, diventare più attrattivi per gli studenti stranieri, e invertire il flusso che da anni sta portando i nostri ragazzi e i nostri professionisti all’estero, attratti da migliori sbocchi professionali e da guadagni che qua in Italia mai vedrebbero.
Significa non scoprire, non brevettare, non innovare, con tutte le ripercussioni, anche economiche che ciò comporta.
Mi auguro che questa esperienza faccia riflettere tutti sull’importanza degli investimenti nell’innovazione, che passa anche dalle nostre università, da quelle a indirizzo scientifico a quello umanistico.
Perché sapere è potere.
E magari far tornare il Dott.Gambotto a vivere e lavorare nella sua bella Bari, che male non farebbe.