Era il il 3 ottobre 2013 quando un peschereccio, di appena 20 metri, partì dal porto libico di Misurata. A bordo centinaia di migranti di origine eritrea ed etiope.
Giunta a mezzo miglio da Lampedusa, per attirare l’attenzione di altre navi, l’assistente del capitano diede fuoco ad uno straccio, agitandolo e producendo fumo. Questo è bastato per provocare il panico a bordo, un movimento improvviso della massa verso un lato della barca e il rovesciamento della stessa. Quel giorno assistemmo a una delle più grandi tragedie umanitarie. Quel giorno, contammo 368 morti.
«Non siamo riusciti a salvare i bambini» è la testimonianza di qualche sopravvissuto.
Dal 2016, quel 3 ottobre, è diventato la “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”, per ricordare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà.
Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da quel giorno a oggi 20 mila migranti e rifugiati sono morti o risultano dispersi nel mar Mediterraneo.
È impensabile che, ancora oggi, muoiano in mare centinaia di vite. Dobbiamo fare qualcosa, dare alternative affinché nessuno rischi più la vita.
• Aumentare le quote di reinsediamento;
• Aumentare la concessione dei visti per ragioni umanitarie, per motivi di studio e di lavoro alle persone in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni;
• Abrogare definitivamente i decreti sicurezza;
• Facilitare i ricongiungimenti familiari.
“Siamo sulla stessa barca” è l’iniziativa promossa dal “Comitato 3 Ottobre”.
Sono d’accordo, siamo tutti sulla stessa barca e tutti dobbiamo fare di più.